
20 Giu 17 Giugno 1983 – Una vergognosa ingiustizia chiamata Enzo Tortora
Il Caso Enzo Tortora: Un’Ingiustizia Senza Fine nella Storia Italiana
Roma, 17 giugno 1983. Un giorno destinato a rimanere impresso nella memoria collettiva degli italiani. All’alba, in un’operazione dai tratti clamorosi e scenografici, Enzo Tortora — celebre conduttore televisivo, volto amato dal grande pubblico per la trasmissione “Portobello” — viene arrestato nella sua camera d’albergo a Roma. Le accuse sono gravissime: associazione a delinquere di stampo camorristico e traffico di stupefacenti. Secondo l’impianto accusatorio, Tortora sarebbe stato un affiliato della Nuova Camorra Organizzata (NCO) di Raffaele Cutolo.
Quello che segue è un incubo giudiziario, un caso esemplare di errore giudiziario che scosse le fondamenta del sistema penale italiano e la coscienza civile del Paese.
Le accuse e il “teorema”
Tutto parte da alcune dichiarazioni di pentiti di camorra, tra cui Giovanni Pandico e Pasquale Barra, personaggi dal profilo criminale ben noto, che sostengono di aver visto o avuto contatti diretti con Tortora come referente della camorra. Ma le prove materiali non esistono. Nessuna intercettazione, nessun riscontro oggettivo, nessun legame documentato.
Il nome di Enzo Tortora sarebbe stato confuso o mal riportato tra migliaia di nomi in una lista. In un caso surreale, addirittura, una delle prove chiave — un’agendina con un appunto — si rivelò frutto di una lettura errata.
Nonostante l’assoluta assenza di riscontri concreti, il 26 settembre 1985, Tortora viene condannato in primo grado a dieci anni di reclusione. Una sentenza che spacca l’opinione pubblica e indigna intellettuali, giornalisti, giuristi.
L’assoluzione e il calvario
Nel 1986, dopo anni di battaglie, arriva il verdetto della Corte d’Appello: Enzo Tortora è assolto con formula piena. La Cassazione, nel 1987, confermerà definitivamente l’assoluzione. Ma il danno, umano e professionale, è irreparabile.
Uomo colpito nell’onore, nel corpo e nell’anima, Tortora torna in televisione ma è profondamente segnato. Ammalatosi gravemente durante il processo, muore il 18 maggio 1988, pochi mesi dopo la sentenza definitiva. Aveva solo 59 anni.
Un simbolo di giustizia tradita
Il caso Tortora è diventato il simbolo dell’errore giudiziario, della fragilità del sistema penale e della pericolosità di affidarsi esclusivamente alle dichiarazioni di pentiti senza riscontri oggettivi. “Io sono innocente, lo grido da tre mesi, e lo griderò fino alla fine, fino all’ultimo giorno della mia vita” — aveva detto Tortora, con voce ferma, durante uno dei momenti più drammatici del processo.
Uomo perbene, professionista integerrimo, Tortora ha pagato il prezzo più alto per la fiducia cieca in un sistema giudiziario che, in quel frangente, ha mostrato i suoi limiti più profondi.
L’eredità morale
Oggi, il suo nome è ricordato non solo come quello di un grande comunicatore televisivo, ma come emblema della dignità e della resistenza civile di fronte all’ingiustizia. La vicenda ha aperto la strada a un dibattito nazionale su riforme della giustizia, sull’uso delle prove testimoniali e sul ruolo dei media nei processi.
Il caso Enzo Tortora non è soltanto una ferita nella storia del nostro Paese: è un monito. Perché, come ricordò lui stesso con parole che ancora oggi fanno riflettere: “Quel che mi è accaduto può accadere a chiunque di voi.”