14 Mar Il grande Bruno Conti compie 70 anni
Bruno Conti, 70 anni di dribbling e corse sulla fascia: eroe del Mundial 82, icona della Roma più bella di sempre
Ha vinto uno scudetto storico, è diventato Marazico con l’Italia campione del mondo, ha regalato un decennio abbondante di bellezza

Bruno Conti è stato, con Francesco Totti e Paulo Roberto Falcao, il miglior giocatore degli ultimi 50 anni di Roma. È stato cuore e simbolo, talento e carattere, genio e sudore. Mimmo Ferretti, quasi mezzo secolo di giornalismo al seguito della Roma, dice: “Bruno è stato vorrei e posso. Tanti nel calcio vogliono, ma non possono. Lui è stato Bruno Conti perché aveva qualcosa in più. Un fuoriclasse”. Le corse sulla fascia, fonte di ispirazione: da quelle parti sbocciò l’Italia campione del mondo 1982. Un torneo da mattatore: tre assist, la sberla rifilata al Perù nella seconda partita, lezioni di calcio a argentini, brasiliani e tedeschi. I gol: 37 in Serie A, 7 in Coppa Italia, 3 nelle coppe europee e 5 in nazionale. Mai banali: quello al Perù nella seconda gara del mundial di Spagna – di destro, il suo piede d’appoggio -; la doppietta alla Fiorentina l’anno dello scudetto – il primo un capolavoro -; alla Lazio nel derby del 27 marzo 1977 – un sinistro al volo all’incrocio fu definito da Bruno Pizzul “una randellata” -; persino due di testa, a Perugia e Genoa, lui, alto centosessantanove centimetri. Rivedere questi capolavori su You Tube è un inno alla gioia. Per dirlo alla romana: “Ammazza quanto era forte”.
Bruno Conti è stato intervistato in lungo e largo questi giorni. Ha ripercorso i suoi 70 anni parlando delle origini umili, delle bombole di gas portate da bambino nelle case di persone che non gli davano neppure dieci lire di mancia, della passione per il baseball introdotto a Nettuno dagli americani, di Roma “che è tutta la mia vita, lasciata solo per trascorrere due stagioni di formazione al Genoa dove incontrai un maestro come Gigi Simoni”, di Maradona che gli sussurrava sempre “quando vieni a Napoli?”, del rapporto speciale con Roberto Pruzzo e Carlo Ancelotti, dei tanti talenti scoperti “i fiori all’occhiello Daniele De Rossi e Alberto Aquilani, oggi purtroppo si ragiona con gli algoritmi e abbiamo perso la scuola della strada”, del ridimensionamento vissuto nella prima annata di Pallotta “chiesi, scusate, dove ho sbagliato?”, del suo rammarico di non aver intuito il disagio che avrebbe portato Agostino Di Bartolomei a togliersi la vita, della malattia “in cui ho avuto momenti di sconforto, ma non ho mai pensato di morire, quando sono caduti i capelli però è stata dura”, del gesto di Dan Friedkin voleva portarmi in America per le cure, del suo amore sconfinato per la Roma “ancora oggi, quando sento le canzoni di Venditti e di Conidi, mi vengono i brividi”, della sua ammirazione per Claudio Ranieri “sta facendo cose incredibili a 73 anni e ama la Roma come il sottoscritto”, di una passione senza fine “dribbling e colpi di tacco, quanto mi sono divertito”.
Bruno è stato un’icona della Roma più bella di sempre, capace di vincere uno scudetto, di conquistare cinque coppe Italia e di accarezzare il cielo nella notte della finale di Coppa dei Campioni persa ai rigori all’Olimpico contro il Liverpool: “La delusione più grande, arrivammo troppo carichi. Loro, gli inglesi, ridevano e scherzavano”. Bruno e la sua maglia numero 7 hanno regalato un decennio abbondante di bellezza al popolo giallorosso. Una volta, un tifoso disse a Carlo Verdone, in una breve sosta a un semaforo del frenetico traffico romano: “Grazie per aver dato molte gioie a una vita di merda”. Bruno Conti, 402 gare con la maglia giallorossa è stato questo: un arcobaleno che ha colorato il bianco e nero di migliaia di persone. Auguri, Bruno. E grazie.