Giuseppe Fava, uno dei giornalisti più coraggiosi e integri della Sicilia, fu assassinato il 5 gennaio 1984 a Catania, un omicidio che segnò un momento drammatico nella storia del giornalismo italiano e della lotta alla criminalità organizzata. Nato a Palazzo Acreide il 15 settembre 1925, Fava fu un uomo dalla forte personalità e dalla penna affilata, capace di denunciare le ingiustizie sociali e di scrivere senza paura contro la mafia che, a partire dagli anni ’70, imperversava in Sicilia. La sua carriera si sviluppò tra il giornalismo e il teatro, ma fu soprattutto nelle sue inchieste giornalistiche che si distinse per il suo impegno civile.
Fava lavorò per diversi periodici, ma fu con il settimanale I Siciliani che raggiunse la notorietà. Nel suo giornale, che fondò nel 1982, Fava diede voce alle realtà più oscure della Sicilia, dedicandosi a raccontare la collusione tra la mafia, la politica e le istituzioni. Con uno stile incisivo e senza compromessi, portò alla luce la connivenza di esponenti della classe dirigente catanese con i clan mafiosi, e fu tra i primi a denunciare l’ascesa della criminalità organizzata come un vero e proprio potere parallelo, capace di controllare le sorti della regione.
Il 5 gennaio 1984, mentre stava per entrare nel suo appartamento di via Epipoli a Catania, Fava fu colpito da un sicario che lo assassinò con una serie di colpi di pistola. L’uccisione di Giuseppe Fava fu un chiaro avvertimento per tutti i giornalisti e i cittadini che cercavano di opporsi al potere della mafia. Nonostante i numerosi sospetti su una responsabilità mafiosa, l’omicidio non fu mai completamente risolto dalle indagini, ma il suo caso divenne un simbolo della lotta alla criminalità e della difficoltà di fare giornalismo d’inchiesta in un contesto di violenza e intimidazioni.
La morte di Fava lasciò un segno profondo nell’informazione siciliana e nazionale. Il suo coraggio e la sua determinazione nel raccontare la verità diventarono un punto di riferimento per le generazioni successive di giornalisti e attivisti, che lo ricordano come un martire della libertà di stampa e della giustizia. A distanza di decenni, il suo sacrificio continua a ricordarci quanto sia importante il ruolo del giornalismo nell’affrontare le sfide morali e politiche della nostra società.