22 Giugno 1980 – A Roma la Germania vince il suo secondo titolo EUROPEO

22 Giugno 1980 – A Roma la Germania vince il suo secondo titolo EUROPEO

Gli azzurri di Bearzot perdono Rossi e Giordano alla vigilia della fase finale: la Nazionale… spuntata si smarrisce e chiude l’Europeo “made in Italy” al quarto posto. In finale il Belgio-rivelazione di Guy This si arrende alla rinnovata Germania Ovest di Derwall

Si cambia, tanto per co­minciare. Naturalmente partendo dal regolamen­to, che l’Uefa rivoluzio­na in occasione della ras­segna continentale del 1980. Non saranno più quattro, le squa­dre ammesse alla fase finale.
Di­venteranno otto, e quella del pae­se organizzatore all’appuntamento arriverà in carrozza, senza invischiarsi in pericolosi gironi eliminatori e restando alla fine­stra a studiare l’evolversi della situazione. Dal momento che gli ultimi fuochi verranno accesi sui campi d’Italia, tocca proprio alla Nazionale di Enzo Bearzot saltare il primo turno. Per gli azzur­ri, dunque, soltanto amichevoli tra il Mondiale d’Argentina e l’Europeo d’Italia. Saranno dodi­ci in tutto, dal 20 settembre 1978, prima uscita dopo la finale per il terzo posto mondiale perduta (2-1) a Buenos Aires contro il Bra­sile, fino al 19 aprile 1980, poco meno di due mesi prima dell’ini­zio dell’avventura europea.
Nel frattempo, trentuno squadre si giocano i sette posti liberi per la fase finale. Divise, appunto, in sette gironi. Conto dispari, e qualche complicazione in fase di assemblaggio, risolta con la costituzione di tre gironi da cinque squadre e quattro da quattro. Più complicato del solito, ma alla fi­ne i conti tornano.

Tornano anche per chi aveva az­zardato pronostici, i conti. Per­ché dai sette gironi non escono sorprese enormi. Non si perde lungo il cammino l’Inghilterra, che domina il gruppo 1 trascina­ta dal talento di Kevin Keegan, non sbaglia strada la Germania Ovest di Jupp Derwall nel gruppo 7. Arriva alla fase finale anche la Cecoslovacchia, cam­pione d’Europa uscente, che del vecchio gruppo che fece quasi gridare al miracolo quattro anni prima porta ancora in campo ca­pitan Ondrus, Panenka e Nehoda.Gli uomini di Venglos, a dirla tutta, trovano nella Fran­cia un rivale articolarmente scomodo, ma alla fine conqui­stano il prezioso biglietto per l’Italia.

Nel gruppo 3 il testa a testa tra Spagna e Jugoslavia si risolve a favore degli uomini di Kubala. Le due squadre si scambiano… favori lungo il per­corso: Santillana e compagni partono subito a mille, andando a vincere a Zagabria, gli slavi ri­spondono vincendo a Valencia con un gol di Surjak. L’ago del­la bilancia, alla fine, diventa la Romania, terza classificata nel girone. Contro i rumeni, in tra­sferta, la Spagna pareggia (2-2) e la Jugoslavia perde (3-2). E quel punto, nella classifica, farà la differenza. Soffre più del do­vuto, nel gruppo 4, l’Olanda. Dopo il terzo posto agli Europei ’76 e il secondo ai Mondiali ’78, i tulipani di Zwartkruis si invi­schiano in un pericoloso testa a testa con la Polonia, risolvendo­lo all’ultima vittoria, contro la Germania Est. A conti fatti, le uniche sor­prese della prima fase arrivano dal gruppo 2 e dal gruppo 6. Nel primo il Belgio del tecnico Guy Thys, già più o meno profe­ta in patria ma ancora tutto da verificare sulle ribalte internazionali, esce allo scoperto la­sciandosi alle spalle Austria e Portogallo, sulla carta accredi­tate di una maggior regolarità a questi livelli. Ma la rivelazione vera è la Grecia, sorprendente Cenerentola del gruppo 6 che diventa principessa ai danni delle favorite della vigilia, Un­gheria e Urss.

Veloce rassegna sulle magnifiche otto che si daranno battaglia negli stadi di Roma, Napoli, Torino e Milano. Partendo dai campioni in carica, naturalmente. Il Ct Josef Venglos ha raccolto il testimone dal maestro Jezek, timoniere del trionfo europeo di quattro anni prima subito dopo la mancata qualificazione ai Mondiali d’Ar­gentina. Ha rifondato il gruppo in­torno a pochi superstiti di quei gloriosi giorni jugoslavi. Tra i quali non c’è più il portiere Vic­tor, che di quell’europeo fu l’eroe indiscusso.

Anche Jupp Derwall, subentrato al monumento Schoen, ha cambiato faccia alla Germania Ovest: un gruppo che per la prima volta si presenta a una manifestazione internazionale spingendo sul tasto della “linea verde”. La sua è la squadra con l’età media più bassa del torneo, con la Grecia in fondo anche la meno esperta. Ma da quando Derwall è al timone, autunno ’78, non ha mai perso un colpo. Imbat­tuta da quindici partite, un bel bi­glietto da visita.
L’Inghilterra di Greenwood suda freddo poco pri­ma della fase finale, quando dopo la perdita di Trevor Francis ri­schia di dover fare a meno anche di Kevin Keegan. Sospetta lesio­ne del menisco, annunciata dopo l’ultima partita del Re ad Ambur­go. Il caso però si sgonfia, il pro­blema è minimo, uno stiramento che permetterà a mister Keegan di continuare a trascinare il gruppo.

L’Olanda di Zwartkruis è a sua volta cambiata: basta con i “clan”, ritrovato lo spirito di squadra e una guida sicura in Rudi Krol, at­torniato da poche (ma buone) stel­le come Haan, i De Kerkhof, Kist e l’onnipresente Stevens.
Guy This ha un bel problema da risol­vere: il suo Belgio deve fare a me­no di Ludo Coeck, inchiodato da un profondo strappo muscolare, e dovrà appoggiarsi sui veterani Cool e Van Moer, apripista di un gruppo giovane e praticamente sconosciuto. La Spagna esce da un ’79 da dimenticare, arriva al­l’appuntamento tra venti di bufe­ra: le critiche non risparmiano la squadra messa in piedi da Kubala, la cui posizione di Ct non è mai stata tanto traballante. La Grecia, infine, gioca il suo ruolo di outsi­der. Nessuno l’attendeva all’ap­puntamento conclusivo in Italia. C’è arrivata trascinata dal bomber Tomas Mavros, certamente l’ele­mento di maggiori qualità del gruppo.

Regole della fase finale: due rag­gruppamenti, con le prime in classifica che accedono direttamente alla finalissima e le secon­de che si giocano il terzo posto. Da una parte Cecoslovacchia, Germania Ovest, Olanda e Grecia, dall’altra Belgio, Italia, Inghilterra e Spagna.
Nel grup­po A prende il volo la Germania Ovest, già dall’esordio che ripro­pone la finale di quattro anni pri­ma, Germania contro Cecoslo­vacchia, e che per i tedeschi rap­presenta una vera e propria rivin­cita. Già nella seconda partita, vinta di misura (3-2) contro l’O­landa, sale in cattedra il ventu­nenne Bernd Schuster, che con­tro la Cecoslovacchia non era nemmeno entrato in campo. Al terzo turno, agli uomini di Derwall basta un pari con la Grecia per chiudere il girone imbat­tuti (e sono diciotto, da quando il nuovo Ct è al timone!) e al primo posto.

La Cecoslovacchia, finita a pari punti con l’Olanda, gio­cherà la finale di consolazione grazie alla miglior differenza re­ti. Nel gruppo B l’Italia parte con un pari a reti inviolate contro la Spagna, e il Belgio fa lo stes­so con l’Inghilterra. La sfida azzurra agli inglesi trova un pro­tagonista assoluto. Marco Tardelli aveva già imbrigliato Sua Maestà Keegan a Wembley, il 16 novembre del ’77. Peccato che per i primi undici minuti l’attac­cante inglese fosse riuscito a sfuggire al controllo di Zaccarelli, segnando il gol dell’1-0 (gli inglesi, poi, avrebbero raddop­piato con Brooking. Ma contro il ruvido “Schizzo”, per i restanti ottanta minuti, il talento del re si era perso nel buio. Così in questa nuova sfida, sull’erba del Comu­nale di Torino. E nonostante una noiosa pubalgia avesse messo in dubbio fino all’ultimo anche la presenza di Tardelli in campo. Ma questa volta fa di più, l’az­zurro. Risponde all’unico guizzo di Keegan inventandosi il gol della vittoria. E portando gli in­glesi sull’orlo di una crisi di ner­vi, mentre il Belgio di Thys, bat­tendo la Spagna e chiudendo in parità (0-0) con gli azzurri, in si­lenzio si ritrova in testa alla clas­sifica.

A pari punti con l’Italia, ma con la stessa differenza reti (+1) contano i gol realizzati, e l’Italia ha messo in carniere solo quello di Tardelli, mentre i belgi ne hanno collezionati tre. Nela sfida tra le due squadre, decisiva, agli uomini di Thys basta un pa­reggio per chiudere al comando del girone. Il tema tattico dell’in­contro è scontato: azzurri alla ri­cerca del gol e Belgio chiuso (per usare un eufemismo) in difesa e pronto a colpire in contropiede. La difesa belga regge all’urto grazie anche a un arbitraggio non proprio casalingo. La trappola del fuorigioco impedisce ai no­stri di ragionare e giocare il pal­lone in verticale sulle punte. In più, si fanno male due uomini importanti come Oriali e Antognoni, e il gruppo risente della loro uscita anticipata. È pareg­gio, appunto. Come volevano i belgi. Per gli azzurri è una beffa. Han­no attraversato imbattuti la fase finale di questo Europeo fatto in casa, hanno la miglior difesa del torneo (zero gol subiti), ma dovranno accontentarsi di gio­care la finale per il terzo posto. Come in Argentina, ma se allo­ra fu un mezzo successo stavol­ta affiora la delusione.

Quel sapore amaro agli angoli della bocca non svanisce dopo la finale di consolazione. Anco­ra una volta, l’Italia ne esce im­battuta e battuta allo stesso tem­po. Contro la Cecoslovacchia è 1-1, reti di Jurkemik e Graziani, e ai rigori si va avanti ad ol­tranza. Bisognerà batterne nove per parte, per decidere chi dovrà salire sul podio. Decidono Netolicka, che para il nono penalty degli azzurri calciato da Collovati, e Barmos che invece non sbaglia il tiro decisivo. Eviden­temente c’è di mezzo il destino, che decide che la Cecoslovac­chia debba vincere sempre ai ri­gori le sue finali europee: quat­tro anni prima andò così con la Germania Ovest, anche se in quel caso c’era in palio il primo posto.

In finale il Belgio vorreb­be trovare il lieto fine per la sua favola. Quella che lo ha portato fino all’ultimo atto grazie alla perfetta alchimia tra un gruppo giovane e un “capo storico” che incute rispetto e (quasi) devo­zione. Wilfried Van Moer, re­gista puro, recuperato in extre­mis da Thys dopo un’assenza dalla Nazionale durata quattro anni, dal ’75 al ’79, è l’ispirato­re di Ceulemans e Van den Bergh, punte che feriscono le difese avversarie. Ha trentacin­que anni e tre mesi, qualche problema di tenuta atletica ma una classe sopraffina che lo sostie­ne. Anche in finale contro i te­deschi gioca da protagonista, ma questa volta non basta. Dal­l’altra parte sale in cattedra un altro nonno insuperabile: il vec­chio Horst Hrubesch, che ha legato molto bene coi giovani talenti di Derwall, infila il gol del vantaggio iniziale, dopo die­ci minuti di gioco, e si ripete a un minuto dalla fine, dopo che il Belgio aveva raddrizzato il ri­sultato su rigore con Vandereycken, rendendosi poi molto pericoloso. La finale è un bel ricordo per Hrubesch, ma in asso­luto questo Europeo glorifica il giovane Schuster, protagonista anche in finale. Partono da lui, oltre all’assist per il primo gol di Hrubesch, le azioni più illumi­nate della Germania Ovest. E il bello è che il ragazzo è una stel­la part-time. Delle quattro parti­te della fase finale, ne ha gioca­te due: assente al debutto contro la Cecoslovacchia, risparmiato da Derwall nella partita contro la Grecia. Centottanta minuti gli sono bastati per mettere la sua firma su questo Europeo.

https://www.youtube.com/watch?v=hPr15HHhVTI

https://www.youtube.com/watch?v=34KJDQTIphI

Roma, 22 giugno 1980
Germania Ovest – Belgio 2 – 1
Reti: Hrubesh 10′, Vendereycken 72′ (rig), Hrubesh 88′
Arbitro: Rainea (Romania)
Germania Ovest: Schumacher, Kaltz, K.H.Förster, Stielike, Dietz, Briegel (55 Cullmann), Schuster, H.Müller, K.H.Rummenigge, Hrubesch, K.Allofs
Belgio: Pfaff, Gerets, L.Millecamps, Meeuws, Renquin, Cools, Vandereycken, Van Moer, Mommens, Van der Elst, Ceulemans

 

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