Il titolo alla squadra che ha giocato meglio
Il Brasile è campione del mondo per la terza volta. La preziosa, prestigiosa Coppa Rimet, dopo quarantanni di splendide competizioni, in clima di rinnovata e affascinante incertezza va, com’è giusto, al paese calcistico che ha dato negli ultimi venti anni il meglio che si sia visto sui campi di tutto il mondo. Soltanto un miracolo di indole psicologica, dunque tattica, non certamente tecnica, avrebbe potuto consentire a questa squadra azzurra, valorosa ma anche mediocre, di realizzare sì inimmaginabile impresa. In effetti gli azzurri sono stati anche fin troppo bravi a reggere un tempo quasi in parità con una squadra composta di giocatori nella gran parte superiori ai diretti avversari italiani. Il gol di Boninsegna è stato in verità prodotto del suo tempismo e del suo coraggio più che di un’azione che testimoniasse di una validità tecnica e tattica da parte degli italiani. Nel secondo tempo la situazione del centrocampo italiano si è ancor più aggravata. Non avveniva mai che un filtro purchessia venisse realizzato da De Sisti, Mazzola, Bertini e Domenghini. I brasiliani, palleggiatori sicuri, a volte anche deliziosi, sempre erano in condizione di portare l’attacco fino alla conclusione.
Segnato un gol da lontano con Gerson, il Brasile ha insistito chiamando alla segnatura anche il suo maggiore goleador, Jairzinho. Ha poi completato il punteggio il terzino destro e capitano del Brasile Carlos Alberto con un tiro assolutamente omicida. È da riflettere che il punteggio, benché netto, non è tuttavia umiliante. Da come si erano messe le cose nel secondo tempo, gli italiani stavano rimediando una pessima figura, spesso cadendo in falli di ostruzionismo, e tutto lasciava credere che il punteggio sarebbe stato di goleada. Il Brasile ha confermato la sua superiore organizzazione di gioco e noi dal canto nostro abbiamo scontato quello che alla vigilia si era benissimo visto, cioè un complesso di appagamento nel quale si sono tutti crogiolati, ben convinti di aver ottenuto molto più che non lasciassero intendere le premesse del torneo.
Togliamoci il cappello di fronte al Brasile, riconosciamo che non solo sul piano tecnico-tattico i brasiliani sono stati largamente superiori, ma che hanno ottenuto questo prestigioso risultato nella storia del calcio mondiale anche per una continuità del proprio vivaio e per una concezione del football per noi quasi proibitiva… Gli italiani hanno compiuto una notevole prodezza proprio perché in partenza il credito che si faceva loro non andava oltre le semifinali. Ma proprio nelle semifinali, quando i sentimentali e i romantici si sono abbandonati a orge di entusiasmo e di gratitudine verso gli azzurri, chi avesse seguito il gioco più freddamente e lucidamente si sarebbe accorto che il tono tecnico-tattico della nostra squadra era assolutamente inferiore al suo compito. Con la Germania è stata la vittoria del cuore e anche della fortuna. Il calcio istintivo ci ha portato a un successo che i romantici considerano memo-rabile. Guardando tuttavia quanto è avvenuto in campo, io personalmente non mi son sentito di ingannare i lettori e, con un coraggio di cui spero mi si dia atto, ho reagito al mio intimo entusiasmo, alla mia soddisfazione, all’emozione anche parlando di football e così annotando puntualmente che i nostri errori, la nostra stessa difesa, sopravvalutata dai critici italiani e no, non avrebbe potuto reggere ai brasiliani.
Ho bensì precisato che giocando come contro la Germania avremmo subito una sconfitta di goleada. Cioè larghissima. E umiliante. Questa segnatura è stata larga abbastanza per garantire che il Brasile è più forte di quanto non possiamo essere noi oggi, tuttavia non è stata di goleada ed è già abbastanza consolante che almeno nel primo tempo, nell’incontro di finale per il nono campionato del mondo, sia rimasto in un’incertezza che ci faceva sotto ogni aspetto onore. Era chiaro però che paragonando i nostri difensori ai loro diretti e possibili avversari, nessun ottimismo era consentito a chiunque avesse un minimo di cognizione calcistica. Facchetti in condizione pessima, evidentemente danneggiato dall’altura, nemica delle strutture possenti e atletiche, è via via declinato fino a fornire una prestazione preoccupante contro i tedeschi. Era fin troppo evidente che non avrebbe potuto reggere al duello con Jairzinho, con il goleador scelto dei brasiliani. In effetti Jairzinho ha badato soprattutto a portare Facchetti lontano dalla sua zona.
Facchetti si è onorevolmente disimpegnato all’inizio, ma quando ha capito, Jairzinho, di non potere intavolare duelli diretti, ha badato a lavorare per i suoi compagni e praticamente ha giocato in appoggio, unendosi a un disastroso ma continuo Rivelino e a un più ponderato e classico Gerson. Come era previsto che Facchetti non reggesse, c’era da temere ancora che Bertini non sapesse come sbrigarsela con Pelé. La differenza di classe e soprattutto d’intelligenza fra questi due calciatori è tale che v’è da stupire che Valcareggi non abbia capito subito che il duello era improponibile. Bertini è stato così allontanato da Pelé e mandato su Rivelino. Essendo egli tuttavia poco portato alla difesa, Rivelino ha sempre avuto libertà ad agire di concerto con i compagni. Burgnich, mandato su Pelé, ha scontato le generose partite fornite fin qui e poi ha dovuto arrangiarsi su questo autentico fenomeno del football ricorrendo a falli non sleali, ma comunque contrari al regolamento. Se l’è cavata a stento, ma ha consentito a Cera e soprattutto al valido Rosato di fermare quell’autentico fenomeno dell’impostazione e della rifinitura che è Tostao.
La difesa non ha retto, com’era prevedibile, ma lo sconcerto è stato accresciuto dal comportamento assolutamente insufficiente dei centrocampisti. L’insufficienza del centrocampo non solo si riflette sulla difesa, ma torna a detrimento inevitabile dell’attacco. In effetti abbiamo segnato un gol di rapina, per il tempestivo intervento di Boninsegna e per il coraggio con cui il nostro centravanti ha retto all’uscita e all’entrata contemporanea del portiere Felix e del terzino Piazza. Riva non ha mai avuto in effetti una palla giocabile, è sempre partito da fermo, il che denuncia un limite nella sua classe, e mai è riuscito a vincere un dribbling. La famosa e attesa stella del nostro attacco è stata duramente eclissata fino all’umiliazione dai brasiliani.
Ripeto che il fulcro del gioco era a centrocampo. I brasiliani, qui, dominavano largamente. La loro difesa, superiore negli stacchi, non ha mai concesso un’incornata che è una ai nostri azzurri: si è provato Riva una volta e ha incontrato sulla traiettoria anche un terzino! In tutti gli altri interventi alti la difesa brasiliana ha liberato con tanta disinvoltura da poter trasformare le respinte in disimpegni. A centrocampo hanno giostrato con molta calma, obbedendo a una geometria che risale alle prime gloriose impostazioni di Fèola, il centromediano Clodoaldo, l’interno Gerson e ancora i laterali d’ala di volta in volta chiamati al disimpegno. In prima linea, fra i brasiliani, sono rimasti sempre Tostao e Pelé, tuttavia sobbarcandosi anche a recuperi importanti e ad impostazioni che chiamavano al gioco conclusivo perfino i laterali, come s’è visto in occasione del quarto gol segnato da Carlos Alberto.
Togliamoci il cappello di fronte ai campioni brasiliani e non recriminiamo più oltre. Più di questo, in effetti, non potevamo attenderci, ed è quindi doveroso ringraziare gli azzurri per quanto ci hanno regalato di emozioni e di soddisfazioni in campo internazionale. Certo non è che abbiano fatto una brillante figura. La parità del primo tempo torna loro molto onorevole, ma nel secondo si sono disfatti. Le crepe della squadra si sono rivelate appieno nella loro scarna evidenza. Ciascun centrocampista ha giocato per se stesso. Se si esclude Mazzola, che ha retto abbastanza bene, ma ha preteso di inserirsi in attacco, con ciò offrendosi ai vecchi patemi che lo hanno declassato come punta, se si astrae da lui, che in fondo si è salvato, tutti gli altri hanno reso penosamente.
Quindi, da sportivi, dobbiamo toglierci il cappello e rifarci alla realtà tecnico-tattica del nostro calcio, a quelle che erano le modeste possibilità di una squadra mai apparsa irresistibile, se non in allenamento, e gridare un evviva Brasile, meritatissimo campione del mondo e degno possessore della prima Coppa Rimet messa in palio 40 anni fa in Uruguay da Jules Rimet, presidente della FIFA. Sul piano tecnico e tattico mi riprometto di tornare ovviamente, così che i nostri lettori abbiano un rendiconto il più possibile vicino alla realtà. Oggi ho dettato a braccio come imponeva l’ora tarda per noi e chiedo scusa se mi posso essere ripetuto o comunque se non sono riuscito a penetrare, come tenterò domani, nell’essenza della partita, vinta con relativa facilità dalla squadra più forte.
Il Tabellino
21-6-1970, Città del Messico
Brasile-Italia 4-1
Reti: 18’ Pelé, 37’ Boninsegna, 66’ Gerson, 71’ Jairzinho, 86’ Carlos Alberto
Brasile: Felix, Carlos Alberto, Everaldo, Clodoaldo, Piazza, Brito, Jairzinho, Gerson, Tostão, Pelé, Rivelino. Ct: M. Zagallo.
Italia: Albertosi, Burgnich, Facchetti, M. Bertini (74’ Juliano), Rosato, Cera, Domenghini, A. Mazzola, Boninsegna (84’ Rivera), De Sisti, Riva. Ct: F. Valcareggi.
Arbitro: Glöckner (Germania Est).
https://www.youtube.com/watch?v=XUOIJ4aFj5g