STORIE DI CALCIO: RENE’ HIGUITA
L’ex portiere della Colombia non nascose mai l’amicizia con il trafficante di droga Escobar, un legame che lo condusse però alla prigione
Occorrerebbero le pagine di un libro per raccontare intera la vicenda di René Higuita, portiere-showman del Nacional Medellin e della Colombia (per approfondire: qui). Limitiamoci perciò ai dati telegrafici. Gran portiere, innanzitutto. Nato il 28 agosto 1966 a Medellin, formatosi nelle giovanili del Nacional, ha giocato una stagione nel Millonarios di Bogotà per poi rientrare alla base e diventare celebre nel mondo per il suo modo di essere estremo difensore. Spesso fuori dall’area, in sortite offensive da brivido, condotte con dribbling mozzafiato e la spavalderia dell’attaccante di complemento, quasi sempre estemporaneo nel modo di parare, contrario ai classici canoni del ruolo.
La sua taglia fisica ridotta (1,74 per 74 chili), il cespuglio di capelli neri, le sue doti acrobatiche (possedeva l’agilità di un gatto tra i pali e nelle uscite basse) divennero uno dei simboli della Colombia di Maturana, approdata ai Mondiali italiani del 1990, che fu anche il suo anno d’oro. Vinse la Coppa Libertadores col Nacional da protagonista, parando quattro rigori e trasformandone uno nella finale.
Poi, il dramma del carcere. Higuita è amico personale di Pablo Escobar, capo del cartello di Medellin. Un boss della droga, finanziatore occulto del club, ma anche, nell’altra faccia della sua luna di sanguinario capobanda, finanziatore di progetti di edilizia popolare per il riscatto del popolo dei baraccati. Higuita paga con una esclusione dalla Nazionale la visita in carcere a Escobar nel 1991, poco prima di partire per la Coppa America: lo scandalo è enorme, la Federcalcio lo sospende.
Quando Escobar, il 22 luglio 1992, fugge dal carcere di Envigado, si scatena una caccia all’uomo imponente. Lo vogliono non solo un nucleo speciale di investigatori, ma anche gli spietati uomini del cartello rivale, quello di Cali. Escobar nella sua fuga ha continuo bisogno di ingenti somme di denaro, per procurarsele ricorre anche ai sequestri di persona. Un giorno rapisce la figlia di Luis Carlos Molina, ex dirigente del Nacional, che ricordando i rapporti di Higuita con Escobar si rivolge al portiere scongiurandolo di fare qualcosa per la figlia.
https://www.youtube.com/watch?v=IVjNiTrTR1k
Il giocatore non resta insensibile e dopo la liberazione incassa una cifra equivalente a 75 milioni di lire a titolo di ringraziamento. La nuova legge antisequestro vigente in Colombia lo inchioda, prevedendo, oltre al sequestro dei beni dei rapiti, anche il carcere (da 3 a 13 anni) per chiunque faccia da mediatore tra la famiglia e i sequestratori senza avvertire la polizia. Il nome del giocatore viene addirittura inserito assieme ad altri quindici nella lista dei “graduati” dell’organizzazione di Escobar in possesso della polizia, che filtra ai giornali.
Sono tutti indicati con curiosi soprannomi, tranne uno: José René Higuita. La stampa lo addita alla pubblica esecrazione, nel giugno del 1993, mentre va in scena la Coppa America, anziché nella porta della Colombia Higuita si ritrova nel carcere “La Picota” di Bogotà, in attesa di conoscere la propria sorte. Alla vigilia della partenza per l’Ecuador, il Ct Francisco Maturana, sfidando le ire della pubblica opinione, lo va a trovare in carcere e poi ammetterà di avere pianto:
«René è un ragazzo straordinario, è stato lui a fare coraggio a me. Mi ha detto di partire tranquillo, di abbracciare tutti i suoi compagni, che non avevano avuto il permesso di fargli visita con me, io lo conosco bene da tanti anni: lui non è capace di fare del male a nessuno, e se ha sbagliato lo ha fatto in buona fede, non conoscendo la legge».
In effetti al processo la vicenda si smonterà e Higuita verrà prosciolto, anche se ormai la sua immagine é compromessa. Finirà in Spagna, ormai fuori dal giro della Nazionale, e annuncerà il suo ritiro nel Natale del 1996. Un ritiro precoce, poco dopo aver subito un misterioso attentato: una bomba incendiaria che ha polverizzato la porta e annerito la facciata della sua casa a Medellin.
Se ne va, Higuita, e con lui le mattane che compromisero il cammino della Colombia ai Mondiali 1990, ma anche il suo indimenticabile “colpo dello scorpione”: il pallone respinto in acrobazia coi tacchetti delle scarpe.
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