La strage del Duomo di San Miniato fu un fatto di guerra avvenuto il 22 luglio 1944 a San Miniato (Pisa), in cui cinquantacinque persone, radunate nel Duomo,  perirono a causa di una granata sparata dal 337º Battaglione d’artiglieria campale statunitense,  che colpì accidentalmente la chiesa dove erano assiepati un gran numero di civili.

Fino al 2004  la responsabilità dell’eccidio fu erroneamente attribuita alle truppe tedesche della 3° Divisione granatieri corazzati, allora in ritirata dalla cittadina.

Contesto storico-ambientale

L’inverno di guerra del 1944 aveva aggiunto in Italia nuove privazioni a quelle a cui la popolazione era stata costretta nel passato. Scarsità di generi alimentari di prima necessità, mancanza di vestiario e spesso di corrente elettrica e poco carbone disponibile favorivano il contrabbando, il mercato nero  e la borsa nera. Il vantaggio di un inverno mite e con poche piogge s’era risolto in un fatto negativo per le continue incursioni aeree, ad ondate, sulle città. Con la primavera San Miniato,  in provincia di Pisa, divenne luogo di alloggiamenti militari: in città si stanziarono dai trenta ai cento soldati della 3° Divisione granatieri corazzati del Generalleutnant (generale di divisione) Walter Denkert, nella Villa Antonini aveva sede il Comando tattico della 90° Divisione granatieri corazzati che era dislocata, come la  26° Divisione corazzata, nelle ville di campagna adiacenti la città; tutte e tre le divisioni erano inquadrate nel XIV Corpo d’armata corazzato.  Gli eccidi nazisti a Civitella in Valdichiana,   a Falsano, a Castello di San Pancrazio, e la formazione di piazzole per mitragliatrici nella frazione di Calenzano e in Paesante (toponimo a sud-ovest di San Miniato da cui si domina la valle dell’Enzi e dell’Egola) accumulavano timori nella popolazione.

Nella seconda metà del luglio 1944, la Quinta armata statunitense avanzò inesorabilmente: il 17 luglio furono liberati i comuni di Montaione e Ponsacco,  rispettivamente ad est ed a ovest di San Miniato che, per la sua configurazione geografica, risultava un punto strategicamente importante per le truppe tedesche impegnate a tenere la posizione fino al mattino del 24, prima di ritirarsi al di là della “linea Heinrich” lungo il fiume Arno.  La città, aveva visto crescere notevolmente il numero degli abitanti a causa di sfollati delle vicine città di Pisa, Livorno, Pontedera che vi avevano cercato ricovero, viveva momenti particolarmente tesi. Il 17 luglio l’ordine di evacuazione della cittadina, impartito dal Comando tedesco per garantire alle truppe una ritirata sicura e agevole, venne ignorato dalla popolazione. Il 18 luglio l’ingiunzione venne reiterata e ancora una volta non fu eseguita, anche perché il podestà  era scomparso e non c’era un’autorità di riferimento nel paese.

Tre formazioni partigiane operavano nelle campagne circostanti San Miniato: la brigata “Corrado Pannocchia” comandata da Loris Sliepizza; la “Mori Fioravante” comandata dallo stesso Mori e la “Salvadori Torquato” comandata dal medesimo. Queste formazioni si erano rese protagoniste di alcuni scontri e dell’uccisione, dall’11 al 18 luglio, di tre militari tedeschi, fra cui un ufficiale. La città si ritrovava quindi minacciata dalla strategia tedesca della ritirata, lenta e aggressiva. Il 18 luglio i tedeschi, in relazione all’uccisione dei tre militari, arrestarono tredici persone che in un secondo tempo furono tutte rilasciate. Successivamente, da mercoledì 19 i tedeschi iniziarono a minare molti edifici in gran parte lungo la strada principale facendoli saltare nella tarda serata e nella notte dal 20 al 21, tra questi la sede della Cassa di Risparmio e metà del palazzo Grifoni. Nel complesso, prima del loro abbandono del paese fu raso al suolo circa il 60% delle case.

Il concentramento della popolazione

Nelle prime ore del 22 luglio 1944, verso le 6:00, un ufficiale tedesco, accompagnato dall’interprete, si presentò al Palazzo Vescovile chiedendo di parlare con il vescovo Ugo Giubbi. L’ufficiale, dopo essersi lamentato del fatto che la popolazione si trovasse ancora in città nonostante l’ordine di sfollamento fosse stato diramato da tempo, presentò al vescovo la richiesta di avvertire tutti i civili affinché si radunassero per le ore 08:00 in piazza dell’Impero (nel dopoguerra ridenominata “piazza del Popolo”), tolti i vecchi che non potevano camminare, i malati e i bambini, per essere condotti in campagna, dove si sarebbero trattenuti per circa due ore, perché in città v’era pericolo grave. Il vescovo fece osservare che per quell’ora sarebbe stato impossibile organizzare il raduno, date le difficoltà di accesso al luogo, dovute tra l’altro alle strade ingombre di macerie e propose il Prato del Duomo come luogo di raduno. L’ufficiale dispose, allora, che l’adunata avvenisse anche sul prato del Duomo.  Il vescovo comunicò subito l’ordine per mezzo dei suoi chierici e la popolazione iniziò ad arrivare nelle due piazze.

Piazza dell’Impero detta di San Domenico

Da metà del mese di luglio il convento dei Padri Domenicani ospitava circa un migliaio di persone di ogni età che avevano occupato tutti gli spazi disponibili. All’alba del 22 luglio alcuni soldati tedeschi si presentarono al convento ordinando ai rifugiati di uscire e di radunarsi nella piazza antistante la chiesa, cioè dell’Impero. Gli uomini sarebbero stati condotti fuori città, mentre le donne, i vecchi, i malati ed i bambini sarebbero rientrati nel convento con gli altri che già si trovavano sulla piazza. Poco dopo l’ordine cambiò e tutti furono fatti entrare nella chiesa sul cui tetto da giorni sventolava una grande bandiera pontificia. Due soldati piantonarono le porte esterne della chiesa e quella interna della sacrestia. A metà mattina cominciò un fitto cannoneggiamento che colpì le pendici del convento, poi le massicce mura tergali esterne, riempiendo di polvere e fumo l’interno dell’edificio.I soldati di guardia lasciarono che i frati facessero scendere tutti quelli che si trovavano in chiesa nei sotterranei del convento, detti di Sant’Urbano, dove sarebbero stati al sicuro, perché protetti dalle possenti arcate dell’edificio. Anche la chiesa fu colpita durante il cannoneggiamento da un proiettile il quale dopo aver sfondato il tetto andò, strisciando sul pavimento marmoreo, a magagnare lo scalino dell’altare di San Domenico, senza esplodere.

Piazza del Duomo detta Prato del Duomo

Dopo che la gente fu affluita in piazza, i tedeschi fecero entrare in chiesa donne, anziani e bambini lasciando fuori gli uomini ed i giovani ai quali, successivamente, venne ordinato dal tenente germanico, su sollecitazione del vescovo, di entrare in chiesa. Una moltitudine di circa mille persone riempì la cattedrale.. I civili all’interno del Duomo erano sorvegliati dai alcuni tedeschi che controllavano le porte affinché gli sfollati non uscissero fuori.. La gente iniziò a fare diverse ipotesi sul motivo di tale concentramento, ma nessuna allora appariva completamente plausibile, nonostante i soldati di guardia avessero informato che quel «raduno era l’unico modo per tenere la gente lontana dalle strade che sarebbero state interessate dalle manovre militari delle truppe tedesche». Sul prato del Duomo, infatti, grosse frecce direzionali fissate ai tigli,  indicavano il nord. Alla folla che ormai aveva riempito la chiesa il vescovo si rivolse invitandola a pregare: «preghiamo tutti, perché il momento è triste, è veramente triste», aggiungendo che era consentito mangiare, parlare, fumare, non dimenticando, però, di portare rispetto alla casa di Dio.

La Strage

Alle dieci circa un fitto fuoco dell’artiglieria statunitense colpì inizialmente le pendici a sud della città. A distanza di un quarto d’ora il fuoco dell’artiglieria si spostò sul lato nord-est della città interessando la zona del duomo, il viale della Rimembranza il poggio della rocca, via Umberto I. Durante questa fase un proiettile, probabilmente da 105 mm  ad alto potenziale esplosivo, entrò nella chiesa provocando l’esplosione che causò cinquantacinque vittime, la maggior parte delle quali nella navata destra.

Vittime

I morti furono cinquantacinque e i loro nomi sono elencati nella lapide commemorativa che il Capitolo della cattedrale, Arciconfraternita di Misericordia ed i familiari collocarono nel Duomo nel 50º anniversario..

 

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