Il 3 febbraio 1998 un jet dei marines statunitensi in volo sui cieli italiani tranciò il cavo di una funivia nei pressi di Cavalese, provocando la morte di 20 persone…

Venti vittime. Tre italiani, sette tedeschi, cinque belgi, due polacchi, due austriaci e un olandese. Nessun ferito o sopravvissuto. Alle 15.13 del 3 febbraio 1998 un aereo della marina militare americana (modello Grumman EA-6B Prowler), che stava «ufficialmente» compiendo un volo di esercitazione sopra le Alpi trentine, tranciò i cavi della funivia del Cermis, nei pressi di Cavalese, in Val di Fiemme, facendo precipitare nel vuoto — in sette secondi (sette)— una cabina con a bordo venti persone. L’aereo, alla cui guida erano il capitano Richard Ashby e il navigatore Joseph Schweitzer (mentre dietro erano seduti l’addetto ai sistemi di guerra elettronica William Rancy e l’addetto ai sistemi di guerra elettronica Chandler Seagraves), era decollato dall’aeroporto militare di Aviano, in quegli anni utilizzato come punto di appoggio per le esercitazioni che si svolgevano durante la guerra in Kosovo. Ashby e Schweitzer, violando le norme del regolamento, volarono ad alte velocità a bassa quota, portandosi a bordo, come confessato anni dopo dal capitano, una videocamera per fare delle riprese amatoriali.

Il tentativo di depistaggio

Ancora oggi la vicenda del Cermis è associata a uno dei capitoli più neri della storia del nostro Paese. Il secondo, dopo quanto avvenuto a Sigonella nel 1985, a creare un incidente diplomatico fra Italia e Stati Uniti. Perché fu chiarito che l’errore umano dei piloti fu accompagnato da una «leggerezza» nell’attuazione dei protocolli di volo. Nonostante le prove di un’indagine rigorosa, i responsabili furono condannati, tardivamente, a pene leggere per la morte di venti persone. Nonostante i gravi danni riportati, il velivolo statunitense riuscì a ritornare alla base di Aviano, a circa 90 chilometri dal luogo dell’incidente. La Procura di Trento pose sotto sequestro il velivolo dopo aver appurato che un frammento di cavo era rimasto incastrato nella fusoliera. Una mossa provvidenziale, che evitò un presunto tentativo di depistaggio. I pm italiani chiesero di poter processare nel nostro Paese i quattro membri dell’equipaggio, ma l’istanza venne respinta dal gip di Trento che dovette riconoscere la Convenzione di Londra del 1951 sullo status dei militari Nato e trasferire le carte al giudice statunitense (con un particolare riferimento all’articolo VII, che conta di 11 punti).

Nella foto i quattro Marines

 

 

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