Venti due anni fa l’omicidio Spagnolo: “Il calcio sporco che ha ucciso mio figlio”

Venti due anni fa l’omicidio Spagnolo: “Il calcio sporco che ha ucciso mio figlio”

Venti due anni fa la tragedia di Claudio Spagnolo, parla il padre del genoano pugnalato al cuore a Marassi prima del match col Milan “Che rabbia sapere che l’assassino ha fatto poca galera. Gli ultrà fanno sempre i loro affari. Duro parlare con la famiglia di Ciro”…….

 

GENOVA – Domenica  sono passati venti due anni, ma Cosimo Spagnolo giura che è come se fosse ieri. “Perché i nostri figli continuano a morire per una partita di calcio. Ammazzati a causa di un pugno di delinquenti, con la complicità di un ambiente ipocrita che pensa solo al denaro. Claudio, Ciro Esposito: sempre la stessa storia”. Claudio Spagnolo in gradinata lo chiamavano “Spagna”: morì pugnalato al cuore da un tifoso rossonero a poche ore da Genoa-Milan, il 29 gennaio 1995. Allora si fermò lo sport italiano, il governo garantì un giro di vite contro la violenza, disegni di legge per riportare le famiglie negli stadi. I capi di tutti gli ultrà giurarono: basta lame, basta infami. Bugie. Vent’anni dopo si continua a morire per una partita, quelli che allora parteciparono all’assalto mortale scrivono sui social network: “Se la sono cercata”. Vent’anni dopo è come ieri. E domani verso l’una papà Cosimo sarà davanti all’ingresso del “Ferraris”, dove è successo. Insieme alla moglie e ad un gruppo di tifosi venuti da tutta Italia. Celebrando un rito dignitoso e amaro. Una corona di fiori, una maglia rossoblù, un lungo silenzio. Nessuna risposta. “Neppure da Claudio. Io nella mia testa continuo a vederlo tutti i giorni, gli parlo, gli chiedo: doveva essere un giorno di festa, come è stato possibile?”.

Allora Simone Barbaglia era maggiorenne da qualche giorno: disse di aver colpito “per paura” dell’altro, che lo affrontava a mani nude. Condannato a 14 anni e 6 mesi, ne ha trascorsi in carcere meno della metà. Indulto, sconti di pena. Alla vigilia del Natale 2006 ha lasciato le Vallette di Torino, ma prima per qualche mese ha lavorato come giardiniere presso il Comune di Giaveno. “Silenzioso, sempre per i fatti suoi” raccontano di lui. Poi si sono perse le tracce. Su qualche sito ultrà fantasticano persino di averlo visto tifare Juve con i Fighters. Carlo Giacominelli, regolarmente citato nei libri sui neofascisti milanesi degli anni Novanta, per l’accusa “influenzò” Barbaglia. Condannato per la rissa di Marassi, 3 mesi di prigione. Oggi è un commercialista, consulente per la Lega Nord. Ha tanti amici su facebook: naturalmente Matteo Salvini, ma anche ultrà finiti dietro le sbarre per i fatti genovesi.

Come Massimo Elice. Che dopo la morte di Ciro Esposito, ucciso a revolverate da Daniele De Santis nelle ore precedenti Roma-Napoli, scrive: “Sto con De Santis. La creazione di finti martiri ce la portiamo dietro da 20 anni e nessuno ha ancora capito. Esposito uguale Spagnolo”.
Cosimo ci ha parlato, con i genitori di Ciro. “Al telefono. Difficile, commovente. Brutto”. Dice che la colpa è sempre degli stessi. “Piccoli gruppi di delinquenti che non gli importa niente della squadra e dei colori. Vogliono fare i loro sporchi affari”. Soprattutto bagarinaggio e “sponsorizzazioni” più o meno esplicite dei club. Oggi anche il traffico di droga nelle curve. “Magari non cercano deliberatamente il morto. Ma la confusione, la violenza. Qualche ferito, perché no? Per mettere pressione alle società, che così scelgono di lasciarli fare”. Non è cambiato nulla, no. “Nessuno insegna la cultura dello sport fin dalla scuola. I club non investono nella sicurezza: meglio incassare e basta. La partita, che dovrebbe essere una gioia per le famiglie, rischia ogni volta di trasformarsi in un inferno”.

Genoa-Milan a Marassi è stata di nuovo “sdoganata” per i sostenitori rossoneri solo da due stagioni. “Per tanti anni ho aspettato una telefonata di Berlusconi. Bastava un: “Mi dispiace”. Invece niente, mai. Neppure il club. Come se non fosse accaduto. Poi un giorno ho incontrato Galliani. Che ha capito, e insieme ne siamo venuti fuori”. Ha incontrato anche Barbaglia. “All’inizio provavo un tale dolore per la perdita di mio figlio, che al suo assassino non ho mai pensato. Non ho sentito niente dentro, nemmeno al processo. Ma quando ho saputo che ha fatto così poca galera, mi è venuta una gran rabbia”. Stringe le mani, indurite da una vita alla Fincantieri. “Se me lo trovassi oggi di fronte, non riuscirei a trattenermi. Potrei anche dargli uno schiaffo”. Uno schiaffo, dice. La casa popolare in via Digione, sulla collina

di Di Negro di fronte al porto. Sui muri del salotto, le fotografie di Claudio. Sempre sorridente. “Aveva 24 anni. Suo nonno ne ha 99, coltiva ancora l’orto: siamo gente tosta. Destinata a vivere a lungo. Quella mattina io e mia moglie siamo andati dai miei genitori in campagna, prima di uscire ho socchiuso la porta della camera: Claudio dormiva. Era tutto così tranquillo. “Col Milan ci divertiremo, è un grande Genoa”, mi aveva detto la sera. Sembra ieri “.

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